Racconti di viaggio – Nature Tales

Luoghi dove la Natura è Regina indiscussa della Magia

Patagonia

Perito Moreno

Il Gigante di Ghiaccio

Siamo in Patagonia, Terra dove anche gli alberi hanno gli occhi.

Spira un vento le cui urla somigliano al suono delle onde nel mare in tempesta, donando respiro alle rade fronde.

E ciò che noi definiamo inanimato si rivela molto più vivo di noi.

Gli alberi, la Terra, i ghiacci, incutono soggezione: sembra di dover chiedere il permesso per camminare, quasi persino un flebile passo possa turbare l’equilibrio di una natura così intatta.

Il Perito Moreno è la terza risorsa di acqua dolce sul nostro Pianeta.

Maestoso, si erge per 170 metri, di cui emersi soltanto 70, ed è lungo più di 30 km.

Provate a pensare alla magia di un gigante di ghiaccio, di cui vediamo soltanto il capo, immerso nell’acqua gelida e blu.

Si, blu, perchè più il ghiaccio è compatto, più, per effetto della rifrazione della luce, noi lo percepiamo talmente intenso da diventare talora persino fluorescente.

Il Glaciar Perito Moreno ci parla, come gli alberi, e come la terra. 

Ci dice che lui sta incedendo, ogni giorno, 2 metri alla volta, inesorabilmente, ignorando la presenza umana.

Avanzando lascia indietro quanto lo frena, originando dei boati immensi.

Quando è generoso, ci concede di vedere come si scrolla di dosso il “di più”, fa cadere qualche frammento frontale, offrendolo alla nostra miope vista.

L’uomo si emoziona, e prova timore.

Forse intuisce di essere soltanto un granellino immensamente piccolo nell’Universo.

Non gli resta che accettare di essere parte del fluire di un tutto, e di non poter dominare ogni cosa.

Mauritius

Chamarel, La Terra dei sette colori

7 Colori sul pianeta Terra

Nel 2014 sono stata a Mauritius, dove esiste un luogo dalle caratteristiche impressionanti.

La distesa di Chamarel, conosciuta anche come “Terra dei sette colori”.

E’ un fenomeno unico nel suo genere. 

Incontriamo 7500 mq di sabbia, di colore rosso, marrone, viola, verde, blu, porpora e giallo.

La lava, dapprima solidificata, e poi erosa in ere geologiche differenti regala al terreno una tale varietà di sfumature.

Questo luogo sembra vivere di vita propria e sembra essere autorevole nei confronti degli altri fenomeni naturali.

L’erba, neppure sotto forma di esile filo, ha provato a ricrescere, quasi a non voler coprire questo incanto.

Ma neppure le piogge torrenziali tipiche delle isole dell’Oceano Indiano piegano questa distesa di sabbia.

Ed è così che proprio l’elemento che a noi sembra più effimero (in questo la sabbia viene superata forse solo dal vento) diventa il più resistente e tenace.

Hawaii

Mauna Kea e Mauna Loa

La Montagna Incantata

No, non stiamo parlando del romanzo di Thomas Mann, ma di come esista un luogo nel mondo dove è possibile arrivare da 0 a 4200 mt. slm in un’ora di automobile.

Accade su Big Island, altrimenti detta Isola di Hawaii.

Sul Mauna Kea, vulcano oggi spento, progenitore del popolo Hawaiiano nell’autoctono canto della Creazione, è sito uno dei migliori osservatori astronomici del mondo.

Il distretto scientifico è in una tale oasi naturale, che i turisti sono obbligati a scendere con le auto al massimo entro mezz’ora dal tramonto, pena multe salatissime, proprio per evitare che disturbino i telescopi con luci artificiali. 

Lassù si vede uno dei tramonti classificati tra i più belli. In giornate particolarmente limpide si riesce a vedere persino l’Oceano.

Riuscite a immaginare di vedere il mare dalla vetta del Monte Bianco?

Se non vi è bastata la suggestione di essere in cima a questo Monte, abbracciati dal gelo, rimirando la stessa acqua nella quale un paio d’ore prima vi eravate tuffati a 30°C, guardate dietro la piega del pendio, dove vi conduce il sentiero.

Cosa c’è all’orizzonte? Cos’è quell’immagine bluastra?

A 4000 metri la luce e l’atmosfera creano meravigliose illusioni ottiche.

E così quello che vedete sullo sfondo non è un altro monte, ma è il riflesso di quello in primo piano.

E a sua volta il riflesso funge da prisma e proietta raggi di luce nello spazio.

Meno male che avevo la macchina fotografica, altrimenti, se ve lo avessi raccontato senza supporto visivo, avreste pensato che fosse un’allucinazione!

Lapponia

Aurora Boreale

La Signora che danza vestita di organza.

Da ragazzina sognavo di viaggiare, attraversare lande desolate, dove fosse pressoché assente la presenza dell’uomo, per vedere quelli che io chiamavo i confini del Mondo.

Uno dei fenomeni naturali che non mi sarei voluta perdere? L’aurora boreale.

L’Aurora è un fenomeno generato dal vento solare (protoni ed elettroni) che, interagendo con la ionosfera terrestre ne eccita gli atomi, e forma luci di varia lunghezza d’onda.

Le condizioni per avvistarla sono: totale assenza di illuminazione artificiale, cielo completamente limpido, notte fonda, presenza di attività aurorale (si generano con una media di 90 notti a inverno, 1 o 2 a settimana insomma).

I picchi si verificano in prossimità della fine di un ciclo solare (ogni 11 anni).

Non semplice insomma.

Ho alloggiato quindi in uno chalet in mezzo a un bosco, a 200 km sopra il circolo polare.

Ebbene, dopo 5 giorni di assenza, proprio la sera del mio compleanno, il 19 gennaio 2013, la Signora in Verde mi ha regalato un’apparizione.

Io ero già in pigiama nel letto, rassegnata ormai a non incontrarla nemmeno questa volta.

Appena ho intuito che stava uscendo dall’oscurità mi sono infilata la tuta termica e sono balzata fuori in meno di mezzo minuto.

Credo sia stata l’emozione più forte che avessi mai provato fino a quel momento. Non sentivo neppure il freddo, glaciale, letteralmente.

Non esiste una fotografia che le renda giustizia, non un video che possa descrivere quello che si vede.

Una danza elegante, continua, un silenzio assordante, quasi ti sembra di sentire dei sibili. Ho provato una sensazione di riverenza e quasi di timore. In effetti mi chiedo cosa potessero pensare le popolazioni antiche che vivevano in quei luoghi.

Una delle leggende nate per spiegare questo fenomeno che più mi affascina è quella della volpe magica. Una volpe, in ritardo per il raduno annuale, correva, ma, affaticata, a un certo punto, ha abbassato la coda, spazzando la neve. Lo scintillio della polvere di neve è giunto fino in cielo, creando l’effetto dell’Aurora. In Finlandese infatti viene anche chiamato “Revontulet”, letteralmente: i fuochi della Volpe.

La magia più emozionante che collego all’Aurora è il fatto che, impattando sull’atmosfera, si espande insieme ad essa, e quindi disegna il confine della Terra. E’ come se, guardando in alto, laddove di solito si vede l’infinito, si disegnasse una cupola, il “confine” della Terra.

Credo che realizzare questo sia magnifico e disarmante allo stesso tempo. Non ho mai provato un’emozione più forte.

L’unica che l’ha superata è stata vedere il mio bimbo, quando me l’hanno messo vicino, appena nato. Credo questo possa dire molto di quanto può restituire questa esperienza.

Ve la consiglio.

Tutto quello che vedrete dopo non avrà più la stessa intensità.

“Il riflesso della propria immagine e l’accettazione di sè”

Quante volte ci ritroviamo a dire frasi come: “non vengo bene in foto”, “non ce n’è una in cui mi piaccia”, “non ne ho una bella”?

Forse non è realmente così.

Innanzitutto bisogna prendere in considerazione un dato empirico. 

Siamo abituati a vedere la nostra immagine riflessa in uno specchio. In uno scatto abbiamo l’immagine reale, non speculare.

Questo già basterebbe a confonderci.

Andando più in profondità dobbiamo pensare ad un altro aspetto.

Siamo abituati a pensare alla fotografia come a un supporto statico.

In realtà un’immagine racchiude in se stessa una fluidità, un continuum, cristallizza un processo creativo e imprime un racconto.

In uno scatto viene scritta la storia di chi lo esegue, la storia di chi viene raccontato, la storia che il fotografo (o chi per esso) attribuisce a chi viene raccontato.

Filtri, filtri, ancora….filtri.

L’esperienza che viene restituita a chi riceve l’immagine, è eterogenea. 

Contemporaneamente il soggetto ritratto legge se stesso, come un’altra persona l’ha letto, e come il soggetto ritratto a questo punto pensa di essere stato letto.

Non so se sto rendendo l’idea di quanti filtri si stiano aggiungendo, inesorabilmente, uno sopra l’altro.

Se non vi è venuto ancora il mal di testa vi pongo una domanda.

Secondo voi, “non veniamo bene in foto”, o piuttosto “non ci riconosciamo in foto”?.

Pensiamo a quali e quanti preconcetti siano radicati nella nostra psiche, e proviamo a comprendere se l’immagine che abbiamo di noi stessi corrisponda a quello che realmente viene ritratto.

Quanti di noi si vedono troppo abbondanti, troppo magri, troppo alti, troppo bassi, troppo chiari, troppo scuri… 

Siamo portati a vedere maggiormente i nostri difetti, anzichè valorizzarci e apprezzarci.

Sembra quasi che esista un imprintig, un retaggio culturale, ancestrale, che ci spinga a cercare di castigarci, quasi non fosse accettabile guardarsi e provare soddisfazione.

Da quando siamo piccoli ci dicono che bisogna volersi bene, che se non amiamo noi stessi poi non si può realmente amare qualcun altro.

Vero! Ma qualcuno ce lo insegna?

Dobbiamo amare profondamente i nostri figli, accoglierli, farli sentire accettati, far loro sentire di valere.

Farli sentire sicuri.

Soltanto così li accompagneremo in un percorso verso la consapevolezza di se stessi.

La consapevolezza ha un fantastico effetto collaterale: l’ACCETTAZIONE!

E non sto parlando soltanto di accettazione della propria immagine.

Sto parlando di accettazione del sè, di tutto ciò che riguarda la nostra sfera più intima. 

I nostri difetti sono più importanti dei nostri pregi

Di più di ciò che aprrezziamo e stimiamo in noi, dobbiamo amare i nostri difetti e i nostri limiti, dobbiamo cullarli, coccolarli, e prendercene cura.

E’ con essi che dobbiamo convivere e scendere a compromessi.

Solo da un profondo amore per ogni aspetto che ci caratterizza si passa all’accettazione di sè.

C’è una diretta corrispondenza tra quanto “non ci piacciamo in foto”, e il rapporto che abbiamo con lo specchio.

Spesso lo usiamo soltanto da strumento, per lavarci, truccarci, pettinarci.

Ma ci soffermiamo mai a pensare a cosa significa a livello emotivo? 

Probabilmente no, perchè la vita ormai è fulminea, istantanea. 

Per noi i gesti diventano routinari e fatti di fretta.

Quando siamo davanti ad uno specchio in realtà ci stiamo prendendo cura di noi.

Potremmo provare a trasformare quel momento in un’ espressione di amore per noi stessi.

Specchio, specchio delle mie brame…

Proviamo a guardarci, a guardarci realmente, dentro, nel profondo.

Spesso non è semplice, e allora sfruttiamo lo specchio.

Non dico alla mattina, in cui il diktat che imponiamo a noi stessi è “Sopravviviamo”…

Magari alla sera, quando la giornata è conclusa, quando si possono tirare le somme….

Proviamo a parlare all’immagine riflessa.

Può essere un modo per guardarsi con distacco, e rendere più semplice questo dialogo interiore.

Proviamo a parlare alla persona che vediamo con amore, chiediamole come è andata la giornata.

Chiediamole di raccontarci cosa l’ha turbata, e invece, se qualcosa l’ha resa gioiosa di dirci perchè.

E poi sorridiamo a quell’immagine, accogliamola con un profondo abbraccio carico di amore, accettiamo quello che vediamo.

A poco a poco la nostra proiezione si trasformerà nel nostro ritratto speculare.

E quando ci rivedremo in una foto magari ci riconosceremo un po’di più.

E la fotografia?

La fotografia è uno strumento di grande potere, esattamente come lo specchio.

Immortala anche quello che noi non vediamo di noi stessi, e ce lo mette davanti, imponendoci prepotentemente di guardarlo.

Ecco l’invadenza, e come conseguenza, il rifiuto da parte nostra.

Al di là dell’empatia che si sviluppa o non si sviluppa con il fotografo (e qui si potrebbero aprire delle parentesi lunghissime, e se vi farà piacere ne parlerò in un altro articolo), anche una foto può essere un veicolo facilitatore all’accettazione di sé.

Fermiamoci ad ascoltare quali sono le nostre emozioni, le nostre sensazioni al riguardo.

Verbalizziamo cosa non ci piace, e cosa invece ci affascina.

Liberiamo la mente dagli schemi e dalle sovrastrutture, da quello che gli altri pensano di noi, da come noi ci vediamo, da cosa crediamo che gli altri percepiscano, da ciò che pensiamo di dover apparire.

Guardiamo con mente e cuore libero alla nostra interiorità, senza paura di cosa potremmo trovare.

E’ un’attività maieutica e catartica.

E ciascuno di noi può fare questi semplici esercizi per arrivare all’autoconsapevolezza.

Bibliografia e siti di riferimento

Per una filosofia della fotografia”, Vilém Flusser, Mondadori, 2006

Meditazione e Fotografia”, Diego Mormorio, Contrasto, 2008

Fotografia come Terapia”, Meltemi, 1999

https://www.animafaarte.it/specchi-riflessioni-psicologiche/

https://www.psicotypo.it/ritrovarsi-in-una-fotografia-limmagine-come-conoscenza-si-se/

Davide Lajolo – La sua vita e le sue emozioni raccontate con immagini.

Davide Lajolo, giornalista scrittore e partigiano. Come nasce un progetto di Emozioni per Immagini?

Ho sempre fotografato cercando di racchiudere le mie emozioni e la mia visione del mondo in un’immagine.

Il che, se ci pensate, è un’operazione complessa, in quanto l’interiorità, ciò che proviamo, come ci sentiamo, è in continuo divenire, mentre un’immagine è qualcosa di statico.

Il mio obiettivo è da sempre stato creare immagini che restituiscano il flusso emozionale, lo scambio tra il cosmo che abbiamo dentro e l’Universo che ci circonda fuori, immagini che “respirino” di immensità, che non si collochino in un luogo o in uno spazio determinati, benchè da essi traggano inevitabilmente origine.

Quando ho iniziato a progettare uno studio fotografico su Davide Lajolo, famoso giornalista, partigiano e scrittore, ho pensato a che cosa mi avesse affascinata fin da bambina nei suoi scritti.

Piccolo Excursus su come ho conosciuto Davide Lajolo

La figlia di Davide Lajolo, Laurana, è amica di famiglia dei miei genitori.

Organizza, da quando ne ho memoria, delle passeggiate culturali sui sentieri battuti da suo padre nei periodi di permanenza nel suo paese di origine, Vinchio.

Fu così che io iniziai a conoscere testi e memorie di questo personaggio, che in verità per la piccola me, era un “essere impalpabile”, che vagabondava per le sue amate colline, ce le faceva scoprire tramite le iniziative culturali di sua figlia, a cui immancabilmente i miei genitori partecipavano.

In un momento successivo affrontai in maniera più approfondita l’argomento, avendo redatto tesine sugli scrittori partigiani Fenoglio Pavese e Lajolo, appunto.

Di lì un continuo divenire, complice anche la famiglia in cui ero cresciuta, con un’insegnante di Italiano e Storia, e un papà avvocato che ha sempre amato anche lui la Letteratura e la Storia.

Io con Laurana al Salone Internazionale del Libro di Torino
Io mentre racconto il progetto al Salone Internazionale del Libro di Torino
Davide Lajolo sulle sue amate colline

Come è nato il Progetto di raccontare i testi di Davide Lajolo per immagini

Quindi, quando ho approcciato Davide Lajolo a livello fotografico, sentivo già una certa sintonia con lui, d’altronde se continuavo a partecipare alle passeggiate organizzate da Laurana, era perché oggettivamente c’erano dei punti di contatto, oltre all’indubbia amicizia.

Mi sono chiesta: cosa potrei fare di diverso rispetto a tutto ciò che è stato proposto finora?

La risposta, immediata, è stata: “Non rappresenterò i luoghi, ma proporrò un VIAGGIO ATTRAVERSO LE EMOZIONI di questo scrittore”.

Una particolare risonanza me la fornì una corrispondenza tra una sfida fotografica che mi riproponevo da tempo e la preferenza di Davide Lajolo a passeggiare in un determinato momento della giornata.

Davide rientrava a Vinchio soprattutto nell’estate, e una delle cose che amava fare era passeggiare tra i vigneti, le boscaglie, e i dolci crinali, alle…..Due del pomeriggio!! Nel pieno della canicola!

La mia sfida consisteva nel fotografare alle due del pomeriggio (sic!), l’ora considerata la più improba, la più sconsigliata, la più inadeguata per la scuola di fotografia, definiamola “classica”.

Perchè? Perchè la luce è dura, il sole allo Zenith, le ombre corte, e “nessuna foto poetica può essere realizzata a quell’ora”…

Questa affermazione risuonava in me come una lontana eco…che per la logica contraria mi ha da subito ispirata.

Se la luce è dura e il paesaggio “bruciato dal sole”, non significa che non sia interessante.

E infatti Davide amava la natura proprio in quelle ore per svariate ragioni, che erano le stesse che muovevano me.

Innanzitutto la natura in quei momenti è deserta, ci sei solo tu, nel sole, nel caldo, ogni rumore sembra amplificato, tutto scrocchia sotto i tuoi passi e lontano si sentono soltanto dei latrati, il frinire delle cicale e un silenzio assordante.

Per quanto riguarda il mio modo di essere questa rappresenta un’ottima occasione di meditare, di rigenerarmi, lontano dalla confusione e dalla frenesia che quotidianamente ci attanaglia.

Anche le altre stagioni tuttavia sono state fondamentali nel mondo di Davide Lajolo.

E anche nella descrizione dell’alternanza delle stagioni ho avuto un approccio emozionale, e non classico. Ho infatti anche aggiunto due luoghi emotivi importanti per Davide, che non sono propriamente delle stagioni.

Le Cinque Stagioni del Cuore di Davide Lajolo

La tana


Capitolo in cui le immagini ritraggono i luoghi dove si sono nascosti i partigiani durante il rastrellamento del 2 dicembre 1944.

Davide si nascondeva ma il suo cuore “sobbalzava” pensando alla moglie e alla sua bambina spaurita tra gli spari. Tuttavia questa situazione di terrore e di incertezza non ha sconfortato lo scrittore, anzi, lui stesso recita: “Non ho mai sentito tanta volontà di vivere”.

Le immagini infatti sono state prodotte in inverno, con la neve alta, e cercano di denotare la rigidità e la solitudine, gli uomini che vivono come “talpe, sottoterra”.

Inverno

Capitolo in cui ho cercato di ritrarre la rigidità invernale ma con la poesia che emerge dagli scritti di Davide, sensazioni che anche io condivido.

L’inverno ha suscitato da sempre un fascino direi quasi primordiale su di me, cosa strana, peraltro, essendo geneticamente figlia dei Tropici.

Sono sempre stata rapita dal silenzio ovattato, dai fiocchi di neve, il mio sogno è quello di avere un camino, una poltrona, una coperta, un bicchiere di whiskey e un buon libro, e guardare la neve che cade, lentamente, sofficemente.

Trovo che abbia qualcosa di magico, e che i paesaggi nordici, con le loro luci, siano fonte di un’attrazione molto forte.

Davide, in una delle citazioni cui mi sono rifatta per progettare la stagione invernale, recita:

“Il bianco diventa un colore infinito. Possono esistere colori infiniti? Da bambino quell’unico colore non mi spingeva alla malinconia, ma mi faceva pensare al Paradiso e agli Angeli, con la musica di armonie irripetibili”.

Autunno di Rinascita

Perchè l’autunno dopo l’inverno e non la primavera?

Perchè uno dei passi che trovo tra i più commoventi è tratto dalla poesia scritta per Laurana, nata il 2 novembre, e che recita: “Tu nata d’autunno a fare primavera”.

In primis perché l’amore e la dolcezza che traspaiono da questa semplice frase credo siano incommensurabili.

Poi perché incontra la sensazione che anche io ho sempre provato che l’autunno non sia una stagione verso “la fine”, ma che sia il momento in cui la natura ci rivela i suoi colori più vivaci, più fiammeggianti, tutte le tonalità di verde possibili, e in cui la natura dà il massimo prima di addormentarsi temporaneamente.

La notte

Altro elemento magico e magnetico per Davide, in cui mi riconosco appieno.

La luna, in particolare, signora del Cielo, che per Davide è più bella persino della più bella donna del mondo.

Lo guarda e gli parla, mentre le masche si muovono nei boschi, spiriti che vengono a parlare con i vivi.

Questo quadro ha quasi un che di esoterico, e in effetti racchiude una poesia, tipica solo della magia, e della capacità di introspezione delle grandi menti, e dei grandi cuori.

– L’Estate –

All’estate viene infine dedicata l’ultima e più estesa sezione del progetto.

Siamo ormai arrivati alla Luce, alla canicola, al caldo, alle sensazioni più forti che emergono dai racconti di Davide Lajolo.

E’ la stagione del grano biondo.

E’ la stagione in cui Davide torna sulle sue colline, che hanno ispirato tanto dei suoi scritti e della sua persona, gli ideali per cui ha combattuto, le persone per cui ha vissuto.

Lascio una sua ultima citazione, che meglio di qualunque ulteriore parola, può esprimere quanto ho provato a raccontare.

Vinchio è stato il mio nido. Le radici mio padre e mia madre devono avermele piantate ben profonde in questa terra collinosa se non è passato giorno nel corso della mia vita in cui la mente non sia ritornata al pesco sul bricco di S. Michele, ai prati delle Settefiglie, ai boschi della Sarmassa, ai filari conchigliosi di Montedelmare.(…)
Davide Lajolo mentre intervista Mao Zedong, Settembre 1956
Radici profonde, ancestrali, maliarde, persino morbose.(…) Come se potessi respirare libero solo tra quella polvere, in quell’aria di piante amiche, nella linea diritta seguendo i filari delle vigne, esattamente come soltanto in questi posti potessi spaziare con la fantasia da un colle all’altro, e alzarmi in volo. Non è più stato così in nessun altro luogo del mondo: non nel cielo di Parigi né in quello di Atene, non a Pechino né a Samarcanda, non a Marrakesch né a Beirut, mai più.”

Per una Bibliografia completa visita

https://www.davidelajolo.it/

Bibliografia sinteticaIl mio ex libris su Davide Lajolo

  • Davide Lajolo, Bocche di donne bocche di fucili, Osimo, Barulli, 1939.
  • Davide Lajolo, Nel cerchio dell’ultimo sole, Genova, Emiliano degli Arfini, 1940.
  • Davide Lajolo, I corsivi di Ulisse, Milano, La nuova cultura, 1953.
  • Davide Lajolo, Quaranta giorni quaranta notti, Milano, Ceschina, 1955.
  • Davide Lajolo, Il “vizio assurdo”. Storia di Cesare Pavese, Milano, Il Saggiatore, 1960.
  • Davide Lajolo, Il voltagabbana, Milano, Il Saggiatore, 1963.
  • Davide Lajolo, Come e perché, Milano, Palazzi, 1968.
  • Davide Lajolo, Cultura e politica in Pavese e Fenoglio, Firenze, Vallecchi, 1970.
  • Davide Lajolo, Poesia come pane, Milano, Rizzoli, 1973.
  • Davide Lajolo, I rossi, Milano, Rizzoli, 1974.
  • Davide Lajolo, Finestre aperte a Botteghe Oscure, Milano, Rizzoli, 1975.
  • Davide Lajolo, I mé, Firenze, Vallecchi, 1977.
  • Davide Lajolo, Veder l’erba dalla parte delle radici, Milano, Rizzoli, 1977.
  • Davide Lajolo, Fenoglio. Un guerriero di Cromwell sulle colline delle Langhe, Milano, Rizzoli, 1978.
  • Davide Lajolo, Il volto umano di un rivoluzionario. La straordinaria avventura di Giuseppe Di Vittorio, Firenze, Vallecchi, 1979.
  • Davide Lajolo, Conversazione in una stanza chiusa con Leonardo Sciascia, Milano, Sperling & Kupfer, 1980.
  • Davide Lajolo, Ventiquattro anni, Milano, Rizzoli, 1981.
  • Davide Lajolo, Su fratelli su compagni, Cuneo, L’Arciere, 1983.
  • Davide Lajolo, Il merlo di campagna e il merlo di città, Milano, Rizzoli, 1983.
  • Davide Lajolo, Conversazione in una stanza chiusa con Mario Soldati, Milano, Frassinelli, 1983.
  • Davide Lajolo, Parole con Piero Chiara, Milano, Frassinelli, 1984.
  • Davide Lajolo, Gli uomini dell’arcobaleno, Parma, Augusto Agosta Tota Editore, 1984.

Road to…me – Origini e ricerca di sé

La mia crescita personale

Quanto le origini dicono di una persona?

Sono stata adottata.

Di origine indiana, nata a Calcutta, affidata all’orfanatrofio delle suore di Madre Teresa, a un anno e due mesi sono arrivata in Italia, cresciuta e curata da un’amorevole famiglia, che ha sempre cercato di fare il meglio per me.

Da quando ricordo, tutti intorno a me, amici di famiglia, parenti ma soprattutto persone esterne, mi hanno sempre chiesto se non fossi mai tornata in India.

E al mio “no, non ci sono mai tornata”, immancabilmente la seconda domanda: “ci vorresti tornare?”

“no, non ne sento il bisogno”.

E qui si aprivano gli scenari più disparati.

Da chi mi guardava come se avessi detto una cosa strana, a chi pensava stessi liquidando il discorso perchè non volevo rispondere, a chi pensava che avessi un rifiuto per il mio essere “diversa” e “adottata”….peccato che tutti questi input, ripetuti nel tempo, e in diverse fasi della crescita, mi avessero fatto davvero pensare a un certo punto di essere io ad avere un problema con me stessa, e cosa ancora più grave, che non lo volessi guardare in faccia, e quindi non lo riconoscessi.

L’inizio di una conferma è arrivata quando è nato mio figlio.

Ho pensato che se qualcosa mi si fosse dovuto smuovere dentro in relazione alle mie origini, sarebbe successo dopo il suo ingresso nel mondo.

Nulla. E non è che non provi interesse per quella cultura millenaria, anzi, ma è, appunto un interesse sociologico-culturale, non un’intima attrazione verso un possibile retaggio ereditario.

La ricerca di sé é collegata ad un luogo?

Oggi, 5 agosto 2021, parlando con una persona, ho messo un altro pezzettino al puzzle.

E ho capito che forse, quando andiamo a cercare i posti da cui siamo venuti, o torniamo in luoghi a noi familiari che ci fanno sentire “a casa”, molte volte cerchiamo un senso, una rassicurazione, un significato alla nostra esistenza, o anche solo cerchiamo di capire chi siamo….d’altronde è una delle domande fondamentali dell’uomo (Chi siamo? Da dove veniamo?)

E’ possibile che io questa necessità non la senta, perchè non è un tassello che mi serve per capire chi sono.

Tutto ciò che mi definisce è dentro al mio spirito. E non è che le radici non siano importanti, anzi sono fondamentali.

Ma le radici vere e profonde le senti quando trovi il tuo posto nel mondo, quando capisci quale spazio occupi, qual è il tuo scopo o la missione che devi realizzare su questa terra.

E poi mi succede anche una cosa strana.

Quando mi concentro e penso all’India, paese immenso, mi sento attratta da una forza, che si localizza a nord ovest, e non a Calcutta.

E’ come se una voce dentro mi parlasse e mi dicesse che in realtà vengo da un altro posto.

Non so onestamente se credere alla teoria della metempsicosi, o se il nostro spirito ci parla e dentro di noi troviamo tutte le risposte.

Per ora so che ho avuto un barlume di luce, e riesco a intravvedere la direzione verso la quale andare.

Sono cosmopolita e sono apolide al tempo stesso, sono in continua ricerca, e resto in ascolto.