Davide Lajolo – La sua vita e le sue emozioni raccontate con immagini.

Davide Lajolo, giornalista scrittore e partigiano. Come nasce un progetto di Emozioni per Immagini?

Ho sempre fotografato cercando di racchiudere le mie emozioni e la mia visione del mondo in un’immagine.

Il che, se ci pensate, è un’operazione complessa, in quanto l’interiorità, ciò che proviamo, come ci sentiamo, è in continuo divenire, mentre un’immagine è qualcosa di statico.

Il mio obiettivo è da sempre stato creare immagini che restituiscano il flusso emozionale, lo scambio tra il cosmo che abbiamo dentro e l’Universo che ci circonda fuori, immagini che “respirino” di immensità, che non si collochino in un luogo o in uno spazio determinati, benchè da essi traggano inevitabilmente origine.

Quando ho iniziato a progettare uno studio fotografico su Davide Lajolo, famoso giornalista, partigiano e scrittore, ho pensato a che cosa mi avesse affascinata fin da bambina nei suoi scritti.

Piccolo Excursus su come ho conosciuto Davide Lajolo

La figlia di Davide Lajolo, Laurana, è amica di famiglia dei miei genitori.

Organizza, da quando ne ho memoria, delle passeggiate culturali sui sentieri battuti da suo padre nei periodi di permanenza nel suo paese di origine, Vinchio.

Fu così che io iniziai a conoscere testi e memorie di questo personaggio, che in verità per la piccola me, era un “essere impalpabile”, che vagabondava per le sue amate colline, ce le faceva scoprire tramite le iniziative culturali di sua figlia, a cui immancabilmente i miei genitori partecipavano.

In un momento successivo affrontai in maniera più approfondita l’argomento, avendo redatto tesine sugli scrittori partigiani Fenoglio Pavese e Lajolo, appunto.

Di lì un continuo divenire, complice anche la famiglia in cui ero cresciuta, con un’insegnante di Italiano e Storia, e un papà avvocato che ha sempre amato anche lui la Letteratura e la Storia.

Io con Laurana al Salone Internazionale del Libro di Torino
Io mentre racconto il progetto al Salone Internazionale del Libro di Torino
Davide Lajolo sulle sue amate colline

Come è nato il Progetto di raccontare i testi di Davide Lajolo per immagini

Quindi, quando ho approcciato Davide Lajolo a livello fotografico, sentivo già una certa sintonia con lui, d’altronde se continuavo a partecipare alle passeggiate organizzate da Laurana, era perché oggettivamente c’erano dei punti di contatto, oltre all’indubbia amicizia.

Mi sono chiesta: cosa potrei fare di diverso rispetto a tutto ciò che è stato proposto finora?

La risposta, immediata, è stata: “Non rappresenterò i luoghi, ma proporrò un VIAGGIO ATTRAVERSO LE EMOZIONI di questo scrittore”.

Una particolare risonanza me la fornì una corrispondenza tra una sfida fotografica che mi riproponevo da tempo e la preferenza di Davide Lajolo a passeggiare in un determinato momento della giornata.

Davide rientrava a Vinchio soprattutto nell’estate, e una delle cose che amava fare era passeggiare tra i vigneti, le boscaglie, e i dolci crinali, alle…..Due del pomeriggio!! Nel pieno della canicola!

La mia sfida consisteva nel fotografare alle due del pomeriggio (sic!), l’ora considerata la più improba, la più sconsigliata, la più inadeguata per la scuola di fotografia, definiamola “classica”.

Perchè? Perchè la luce è dura, il sole allo Zenith, le ombre corte, e “nessuna foto poetica può essere realizzata a quell’ora”…

Questa affermazione risuonava in me come una lontana eco…che per la logica contraria mi ha da subito ispirata.

Se la luce è dura e il paesaggio “bruciato dal sole”, non significa che non sia interessante.

E infatti Davide amava la natura proprio in quelle ore per svariate ragioni, che erano le stesse che muovevano me.

Innanzitutto la natura in quei momenti è deserta, ci sei solo tu, nel sole, nel caldo, ogni rumore sembra amplificato, tutto scrocchia sotto i tuoi passi e lontano si sentono soltanto dei latrati, il frinire delle cicale e un silenzio assordante.

Per quanto riguarda il mio modo di essere questa rappresenta un’ottima occasione di meditare, di rigenerarmi, lontano dalla confusione e dalla frenesia che quotidianamente ci attanaglia.

Anche le altre stagioni tuttavia sono state fondamentali nel mondo di Davide Lajolo.

E anche nella descrizione dell’alternanza delle stagioni ho avuto un approccio emozionale, e non classico. Ho infatti anche aggiunto due luoghi emotivi importanti per Davide, che non sono propriamente delle stagioni.

Le Cinque Stagioni del Cuore di Davide Lajolo

La tana


Capitolo in cui le immagini ritraggono i luoghi dove si sono nascosti i partigiani durante il rastrellamento del 2 dicembre 1944.

Davide si nascondeva ma il suo cuore “sobbalzava” pensando alla moglie e alla sua bambina spaurita tra gli spari. Tuttavia questa situazione di terrore e di incertezza non ha sconfortato lo scrittore, anzi, lui stesso recita: “Non ho mai sentito tanta volontà di vivere”.

Le immagini infatti sono state prodotte in inverno, con la neve alta, e cercano di denotare la rigidità e la solitudine, gli uomini che vivono come “talpe, sottoterra”.

Inverno

Capitolo in cui ho cercato di ritrarre la rigidità invernale ma con la poesia che emerge dagli scritti di Davide, sensazioni che anche io condivido.

L’inverno ha suscitato da sempre un fascino direi quasi primordiale su di me, cosa strana, peraltro, essendo geneticamente figlia dei Tropici.

Sono sempre stata rapita dal silenzio ovattato, dai fiocchi di neve, il mio sogno è quello di avere un camino, una poltrona, una coperta, un bicchiere di whiskey e un buon libro, e guardare la neve che cade, lentamente, sofficemente.

Trovo che abbia qualcosa di magico, e che i paesaggi nordici, con le loro luci, siano fonte di un’attrazione molto forte.

Davide, in una delle citazioni cui mi sono rifatta per progettare la stagione invernale, recita:

“Il bianco diventa un colore infinito. Possono esistere colori infiniti? Da bambino quell’unico colore non mi spingeva alla malinconia, ma mi faceva pensare al Paradiso e agli Angeli, con la musica di armonie irripetibili”.

Autunno di Rinascita

Perchè l’autunno dopo l’inverno e non la primavera?

Perchè uno dei passi che trovo tra i più commoventi è tratto dalla poesia scritta per Laurana, nata il 2 novembre, e che recita: “Tu nata d’autunno a fare primavera”.

In primis perché l’amore e la dolcezza che traspaiono da questa semplice frase credo siano incommensurabili.

Poi perché incontra la sensazione che anche io ho sempre provato che l’autunno non sia una stagione verso “la fine”, ma che sia il momento in cui la natura ci rivela i suoi colori più vivaci, più fiammeggianti, tutte le tonalità di verde possibili, e in cui la natura dà il massimo prima di addormentarsi temporaneamente.

La notte

Altro elemento magico e magnetico per Davide, in cui mi riconosco appieno.

La luna, in particolare, signora del Cielo, che per Davide è più bella persino della più bella donna del mondo.

Lo guarda e gli parla, mentre le masche si muovono nei boschi, spiriti che vengono a parlare con i vivi.

Questo quadro ha quasi un che di esoterico, e in effetti racchiude una poesia, tipica solo della magia, e della capacità di introspezione delle grandi menti, e dei grandi cuori.

– L’Estate –

All’estate viene infine dedicata l’ultima e più estesa sezione del progetto.

Siamo ormai arrivati alla Luce, alla canicola, al caldo, alle sensazioni più forti che emergono dai racconti di Davide Lajolo.

E’ la stagione del grano biondo.

E’ la stagione in cui Davide torna sulle sue colline, che hanno ispirato tanto dei suoi scritti e della sua persona, gli ideali per cui ha combattuto, le persone per cui ha vissuto.

Lascio una sua ultima citazione, che meglio di qualunque ulteriore parola, può esprimere quanto ho provato a raccontare.

Vinchio è stato il mio nido. Le radici mio padre e mia madre devono avermele piantate ben profonde in questa terra collinosa se non è passato giorno nel corso della mia vita in cui la mente non sia ritornata al pesco sul bricco di S. Michele, ai prati delle Settefiglie, ai boschi della Sarmassa, ai filari conchigliosi di Montedelmare.(…)
Davide Lajolo mentre intervista Mao Zedong, Settembre 1956
Radici profonde, ancestrali, maliarde, persino morbose.(…) Come se potessi respirare libero solo tra quella polvere, in quell’aria di piante amiche, nella linea diritta seguendo i filari delle vigne, esattamente come soltanto in questi posti potessi spaziare con la fantasia da un colle all’altro, e alzarmi in volo. Non è più stato così in nessun altro luogo del mondo: non nel cielo di Parigi né in quello di Atene, non a Pechino né a Samarcanda, non a Marrakesch né a Beirut, mai più.”

Per una Bibliografia completa visita

https://www.davidelajolo.it/

Bibliografia sinteticaIl mio ex libris su Davide Lajolo

  • Davide Lajolo, Bocche di donne bocche di fucili, Osimo, Barulli, 1939.
  • Davide Lajolo, Nel cerchio dell’ultimo sole, Genova, Emiliano degli Arfini, 1940.
  • Davide Lajolo, I corsivi di Ulisse, Milano, La nuova cultura, 1953.
  • Davide Lajolo, Quaranta giorni quaranta notti, Milano, Ceschina, 1955.
  • Davide Lajolo, Il “vizio assurdo”. Storia di Cesare Pavese, Milano, Il Saggiatore, 1960.
  • Davide Lajolo, Il voltagabbana, Milano, Il Saggiatore, 1963.
  • Davide Lajolo, Come e perché, Milano, Palazzi, 1968.
  • Davide Lajolo, Cultura e politica in Pavese e Fenoglio, Firenze, Vallecchi, 1970.
  • Davide Lajolo, Poesia come pane, Milano, Rizzoli, 1973.
  • Davide Lajolo, I rossi, Milano, Rizzoli, 1974.
  • Davide Lajolo, Finestre aperte a Botteghe Oscure, Milano, Rizzoli, 1975.
  • Davide Lajolo, I mé, Firenze, Vallecchi, 1977.
  • Davide Lajolo, Veder l’erba dalla parte delle radici, Milano, Rizzoli, 1977.
  • Davide Lajolo, Fenoglio. Un guerriero di Cromwell sulle colline delle Langhe, Milano, Rizzoli, 1978.
  • Davide Lajolo, Il volto umano di un rivoluzionario. La straordinaria avventura di Giuseppe Di Vittorio, Firenze, Vallecchi, 1979.
  • Davide Lajolo, Conversazione in una stanza chiusa con Leonardo Sciascia, Milano, Sperling & Kupfer, 1980.
  • Davide Lajolo, Ventiquattro anni, Milano, Rizzoli, 1981.
  • Davide Lajolo, Su fratelli su compagni, Cuneo, L’Arciere, 1983.
  • Davide Lajolo, Il merlo di campagna e il merlo di città, Milano, Rizzoli, 1983.
  • Davide Lajolo, Conversazione in una stanza chiusa con Mario Soldati, Milano, Frassinelli, 1983.
  • Davide Lajolo, Parole con Piero Chiara, Milano, Frassinelli, 1984.
  • Davide Lajolo, Gli uomini dell’arcobaleno, Parma, Augusto Agosta Tota Editore, 1984.

Guardare il mondo con gli occhi di un bambino

Nascita di una madre

Il racconto delle mie emozioni di mamma racchiuse in un’immagine

L’articolo di oggi è dedicato a

Federico, la mia principale fonte di ispirazione.

Può sembrare un’affermazione da mamma intenerita (per non dire di peggio), ma non è così.

Posso dire che il percorso verso la scoperta di me è iniziato realmente quando è nato lui.

Non sono mai stata di quelle madri che ha detto al mondo che era tutto bello, meraviglioso, favoloso, che pubblicava continuamente foto sui social, a dimostrare quanto era orgogliosa e felice dell’essere diventata madre.

Assolutamente no.

Forse la cosa più difficile per me è stata affrontare la realtà che

il “mio tempo” non era più il mio, era il suo, e i miei ritmi li dettava lui.

Lo spazio per “decantare”, per fare “silenzio dentro” quando mi serviva, è improvvisamente svanito.

E tutti i nodi irrisolti sono venuti al pettine.

Tutte le difficoltà non affrontate mi hanno inondata come in uno tsunami.

Fino a quel momento la mia testa (il pensiero razionale) è stata spesso disconnessa dalla “pancia”, modo colloquiale per definire le emozioni profonde, le intuizioni, l’istinto.

Immaginate quindi come possa essere stato devastante iniziare a sentire tutto con la “pancia”, dopo anni che ti sei abituato a essere molto cerebrale.

Perchè

NON È VERO CHE I BAMBINI NON PARLANO

parlano molto di più di noi adulti….ma comunicano con un canale che noi facciamo in fretta a dimenticare quando cresciamo, o almeno, io me lo ero completamente dimenticato.

Federico mi “parlava”, incessantemente, mi provocava emozioni fortissime, e io non sapevo assolutamente come gestirle, perché non ero, appunto, abituata a fare un ponte tra la testa e le sensazioni più profonde…

Quindi, quando è nato, io

non sono “nata” subito come madre,

passaggio di maturazione nel ruolo materno, che non necessariamente coincide con la nascita del figlio….non potevo diventarlo in quel momento …dovevo prima di tutto diventare “grande”…affrontare le mie emozioni, connettermi con il mio io più profondo, sperimentare esattamente come una bambina questo nuovo coacervo di sensazioni…e compiere quella parte che non avevo concluso quando era tempo.

Non è stato semplice, non solo per me, anche per chi mi stava accanto, ovviamente.

E’ stato un percorso duro, e ho dovuto cercare aiuto esterno, perché da sola non sapevo in che direzione andare.

Non sapevo riconoscere quella parte di me che veniva fuori prepotentemente e quindi non sapevo come canalizzarla.

E’ un percorso in continuo divenire.

Infatti la porta sulla nostra anima rischia di socchiudersi costantemente, sottoposta al peso degli input esterni, dei retaggi sociali, e delle convenzioni con cui dobbiamo quotidianamente cercare compromessi.

E dobbiamo ricordarci di controllarla ogni giorno, come una buona abitudine.

Ma riconnettendomi con le mie sensazioni più istintive, è tornata a bussare alla mia porta la mia parte più creativa, quella artistica, in grado di cogliere aspetti del mondo, e trasmetterli.

Perchè

Quando diventiamo un tutt’uno con la nostra anima

riusciamo a sentire cose mai sentite, a osservare particolari mai notati, a proiettare nel mondo la nostra visione, e, si spera, portare un po’di luce e influenzare positivamente l’ambiente circostante.

Mio figlio mi ha insegnato

L’EMPATIA

e credo che oggi, più di prima, sia una tra le doti più importanti per l’essere umano.

Ogni giorno cerco di imparare da lui, dalla sua spontaneità, da come riesce a esprimere indistintamente ogni tipo di emozione, anche quelle negative, che noi adulti cerchiamo sempre di reprimere.

Cerco di farlo parlare con il mio

“bambino interiore”,

di fargli ricordare come si fa a stupirsi per ogni cosa, a cercare la meraviglia nel mondo, questo mondo che ci sembra spesso così brutto, e che invece riserva sorprese dietro ogni piccolo atomo, e che probabilmente non riusciamo a salvare perché non riusciamo più a vedere dentro di noi in primis cosa esiste di bello, e quanto sia totalizzante sentirsi tutt’uno con l’Universo.

Questo è ciò che ogni giorno mi fa ritrovare lo spirito creativo, che mi porta a scrivere, a fotografare, a comunicare.

Mi piacerebbe che tutti ritrovassero il modo di entrare in contatto con la parte più recondita di sé, e potessero provare

l’amore che nasce da dentro e si espande come un’energia positiva.

La comunicazione sarebbe certamente migliore, specchio di una ritrovata consapevolezza, e sarebbe più costruttiva.

Provare emozioni non riconosciute, non elaborarle, o peggio, elaborarle con un rifiuto perché classificate come negative, porta a sentimenti di paura, odio, invidia, e provocano

instabilità.

Ogni giorno dobbiamo imparare dai bambini.

Per loro già nascere è una lotta, esplorare il mondo è più faticoso di ogni lavoro, ma guardano avanti con speranza e fiducia, sono spontanei, ma sopra ogni cosa, sono pieni di “cuore”.

QUANDO DIVENTIAMO GLI ADULTI CHE SIAMO?

Se avete voglia di leggere qualcosa sulle emozioni…

  • D. Goleman, Intelligenza emotiva, BUR, 1995
  • D. Stern, Nascita di una madre, come l’esperienza della maternità cambia una donna (con Nadia Bruschweiler Stern e Alison Freeland), Mondadori, 1998
  • T. Hogg e M. Blau, Il linguaggio segreto dei neonati, 2001
  • Krishnananda e Amana, Uscire dalla paura, Universale economica Feltrinelli, 2014
  • Cheri Huber, Il dono della depressione, Mondadori, 2006

Fotografare con intelligenza emotiva

Manifesto per una fotografia maieutica

La fotografia come strumento introspettivo

In un giorno di luglio del 2021 ho preso coscienza che in uno scatto viene racchiuso un Universo, e che il mio approccio alla fotografia è sempre stato diverso da quello di qualunque altro fotografo.

Ho sempre considerato la fotografia come una forma d’arte con grandi potenzialità.
In particolare l’ho sempre affrontata con introspezione. Il rapporto con l’ambiente circostante, lo studiare le ambientazioni, il “sentire” quello che si fotografa, è un’attività meditativa che porta a entrare in contatto con la parte più profonda di sè.
Scattare una foto non è soltanto un semplice click.

Dentro uno scatto vengono racchiuse moltissime storie, in un flusso emotivo circolare, tra ciò che abbiamo dentro e gli influssi esterni. In una foto viene impressa la storia di chi la fa, l’interpretazione di chi la guarda, e si aumenta di complessità se vi è anche un soggetto fotografato. A quel punto le storie che si incrociano sono quella del fotografo, quella del soggetto, quella che il fotografo legge nel soggetto, e la successiva interpretazione che ne viene data dal soggetto fotografato.

Ecco che lo scatto non è un punto di arrivo, ma un momento di grande potenzialità per un percorso di consapevolezza e trasformazione, in quanto la sessione fotografica diventa un momento maieutico e catartico.

E da qui il nome che ho voluto assegnargli: soulography (crasi tra soul e photography).

La montagna e lo spirito

“Il mio zaino non è solo carico di materiali e di viveri: dentro ci sono la mia educazione, i miei affetti, i miei ricordi, il mio carattere, la mia solitudine. In montagna non porto il meglio di me stesso: porto me stesso, nel bene e nel male”.

cit. Renato Casarotto

Il mio rapporto con la montagna: poliedrico, di rispetto, di riconoscenza.

Quando vado in montagna il mio spirito si acquieta. Sono un tipo di persona contemplativo, che nell’attività fisica e nello sport non trova sfogo positivo, anzi ottiene il risultato opposto: maggiore concitazione e maggiore tensione.

Nel fare fatica in montagna invece trovo la pace. Il cammino è quasi una catarsi, dove lascio a mano a mano a ogni passo le tensioni, i dubbi, le paure, e conquisto sicurezza, consapevolezza di me, introspezione, infine:

La quiete.

La montagna mi piace “in solitudine”. Non è fatta di competizione, ma di ricerca.

Mi piace assaporare ad ogni passo le piccole particelle di me che si staccano e si diffondono nella natura circostante, per poi ritornare a me “epurate” e rigenerate, a donarmi un senso di appartenenza al tutto.

Le montagne, antiche, granitiche, sono di grande insegnamento.

Come tutti i grandi fenomeni della natura ti ricordano che sei un granellino, che devi rispettare l’ambiente, devi rispettare tanta “potenza”, le montagne c’erano prima di te e ci saranno anche dopo di te.

Le montagne sono sapienti.

Le montagne ti accolgono.

Le approcci con il cuore pesante e le lasci con lo spirito pieno.

Si può camminare meditando. Uno dei segreti per terminare un percorso è imparare ad ascoltare molto bene il proprio corpo. Quando il battito cardiaco aumenta rallentare, quando il battito si tranquillizza provare a intensificare. Concentrarsi sul respiro e sulle tensioni muscolari aiuta ad

allontanare tutti quegli input tossici che ci rendono “cerebrali” e di conseguenza disconnessi dal nostro io più profondo.

Guardare il paesaggio, notare ogni sfumatura di verde o ogni piccolo sasso, mi fa assaporare il mondo, mi incute rispetto per il sentiero che sto percorrendo, e gratitudine per la terra che mi sta concedendo di attraversarla.

Così arrivo in cima e colgo

una delle mie due immagini di pace:

le vette, le valli, le ondulazioni e i crepacci a perdita d’occhio. Il silenzio, il vento, il rumore dei piccoli insetti che camminano, e il mio universo che si espande, in ammirazione di tanta bellezza.

Ritorno con una consapevolezza ogni volta rinnovata:

un sentiero può essere accogliente, morbido, rassicurante come in un bosco, o aspro, duro e implacabile come su una pietraia….

ma un passo dopo l’altro, un respiro dopo l’altro, si arriva alla meta, certi che è stato il cercare di arrivare alla meta che ci ha fatti crescere, riconnettere, e ritrovare, e non tanto l’arrivare fine a se stesso.